martedì 15 marzo 2016

A.R.
Artsteady reviews

FILASTIN: L'ARTE DEL VIGNETTISTA PALESTINESE NAJI AL-ALI


Naji Al-Ali muore il 29 agosto 1987, dopo 5 settimane di coma, giustiziato con un colpo di silenziatore da un sicario ancora ignoto, davanti agli uffici di Al-Qabas International a Londra.
Se ne va così una delle migliori matite che che il mondo arabo abbia visto. “Non ci hanno nemmeno provato”, commenta un mio amico in questi giorni. Non ci hanno nemmeno provato ad inscenare un incidente, a giocarsi la carta del pazzo mitomane: Naji Al-Ali subisce una spudorata esecuzione.
Chi era quel vignettista che diventato così ingombrante da meritarsi un trattamento da pluriricercato dai servizi segreti di mezzo mondo?

“Filastin: l'arte del vignettista palestinese Naji Al-Ali”, edito da Eris, è una raccolta di vignette e testimonianze che ci guidano in un viaggio attraverso l'immaginario fumettistico dell'autore, che si immerge e si confonde indissolubilmente con la storia delle comunità resistenti contro l'espansionismo sionista dello stato israeliano. Ci hanno abituato ad ascrivere questi fatti sotto il nome di “conflitto israelo-palestinese”, locuzione alla quale sono profondamente allergico: con queste parole si sottintende uno scontro alla pari ed una collocazione geografica precisa, una guerra tra due eserciti, uno scenario lontanissimo dalla realtà dei fatti, come si evince facilmente dalla lettura del volume.
Ed è forse proprio questa la grandezza dell'opera di Naji Al-Ali, una lettura lirica che restituisce gli avvenimenti della Storia alla loro dimensione più umana, che è quella di uno stato che occupa, colonizza, si espande sulla pelle di un popolo che coraggiosamente resiste. Tramite la sua matita, la Palestina travalica i confini geografici, come ebbe modo di dichiarare egli stesso ad al-Hassna'Assahira nel '75: “Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palestina, che per me si estende dall'Oceano Atlantico fino al Golfo”. Certamente, avessimo avuto la fortuna di averlo ancora in vita, ad oggi avrebbe parlato di confini ancor più vasti.

“Io sono Handala, vengo dal Campo Profughi di Ain-Hilwe e giuro che rimarrò fedele alla mia causa e al mio popolo”.
Quando Al-Ali diventa profugo a soli undici anni, è costretto a lasciarsi dietro una casa, una vita. Quando anni dopo si ritroverà tra le mani una matita, da quella vita spezzata nascerà Handala. Handala è un bambino, un profugo scalzo che osserva il dolore del suo popolo, i soprusi che è costretto a subire, i giochi di potere che si sviluppano sui suoi territori e contro le loro vite, i coraggiosi tentativi di sovvertire quello che, col tempo e col tacito (interessato) assenso della comunità internazionale, è diventato l'ordine delle cose. Handala è spesso in primo piano, sempre di spalle, e costringe il lettore ad assumere una posizione rispetto alla sua presenza: restare dietro di lui, avulsi dalla scena, o prendere posto accanto a lui, insieme a quelle donne, quegli uomini, quegli Handala di ogni età. Da quella posizione, non si può che essere tutti fedayin.
Handala ha finito con l'essere sintesi e firma dell'opera del fumettista di Asciagiara e, di più, assurge a simbolo di quella stessa resistenza di cui è testimone: solo quando la Palestina sarà finalmente libera, Handala si volterà e dedicherà il suo sorriso a chi, negli anni, non gli è stato indifferente.

In un periodo in cui il reportage a fumetti ha guadagnato nuova linfa, in Italia soprattutto grazie all'opera di Zerocalcare, le vignette di Naji Al-Ali rappresentano punto di rottura ancora attuale, facendo leva sull'aspetto più poetico e simbolico del linguaggio fumettistico. Per questo motivo, per i lettori che non sono addentro alle vicende politiche e culturali del medio oriente, la raccolta rischia di acquisire una connotazione ermetica che non le è propria. I simboli a cui fa riferimento l'autore, infatti, fanno parte del patrimonio culturale di qualsiasi cittadino arabo e dell'immaginario collettivo della Resistenza. Ne è un esempio lampante l'uso della chiave come metafora del ricongiungimento con la propria terra, che fa riferimento alla consuetudine dei profughi palestinesi di conservare la chiave della casa che sono stati costretti a lasciare. L'utilizzo di questo linguaggio, fatto di elementi immediatamente codificati, costruisce un ponte diretto tra l'autore e il lettore, un rapporto tra pari nel quale il pubblico può riporre fiducia.

Il tratto di Al-Ali è un tratto complesso, drammatico, che subisce una evoluzione dinamica vignetta dopo vignetta, figlia dell'incontro tra l'emotività dell'autore stesso e la rappresentazione delle tematiche. Si alternano quindi tratteggi e chiaroscuri, mezze tinte e neri tagliati con l'accetta, contorni nitidi e stilizzati e dettagli quasi vibranti. Ciascuna delle tecniche scelte è evocativa di una sensazione, di una emozione che viene veicolata con una schiettezza disarmante.

Non voglio entrare nel merito di una singola vignetta nella speranza che chi mi legge decida di acquistare la raccolta e vivere il viaggio che io ho vissuto. Sebbene si possano trovare, pagina dopo pagina, vignette distanti temporalmente anche tre o quattro anni (epoche storiche, per le vicende palestinesi), il volume è infatti costruito per avere un valore intrinseco che vada oltre la mera successione, a dare un senso complessivo alla lettura. Un'esperienza che si conclude giustamente con uno sguardo al presente, all'eredità che Naji Al-Ali ha lasciato ad una generazione di artisti, fumettisti, street-artist che, nei campi profughi in cui tutto è cominciato, danno seguito alla sua promessa ed alla storia di Handala. L'intifada continua.


Venerdì 18 alle 19:00, giusto qualche civico più su e qualche ora dopo l'incontro che vedrà il team di Artsteady al completo presso Alastor Napoli, sarò a Mezzocannone 12 Occupato per discutere di "Filastin: l'arte dei resistenza del vignettista palestinese Naji Al-Ali" assieme ai compagni del Comitato di Solidarietà per il Popolo Palestinese di Torino Sami Hallac e Ahmed Rahyisalmina (e spero molti di voi).


Il ricavato delle vendite sarà devoluto ad Addameer Prisoner Support and Human Rights Association.  

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